Archeologia Digitale

Ecco cosa stiamo perdendo nei mondi digitali.

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UX + UI + coding
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Una frase un po’ facilona recita “sono nato troppo tardi per esplorare il mondo e troppo presto per esplorare lo spazio”. È vero. Ma siamo nel periodo giusto per scandagliare il digitale: il nuovo avventuriero è un Indiana Jones che sorseggia un caffè da Starbucks con il Mac aperto sul tavolino. Una figura di avventuriero che scopre scenari inediti e agisce con nuovi paradigmi. Capolavori poetici nascosti in blog ormai inaccessibli, dipinti digitali in hard disk stipati in cantina o architetture utopiche in qualche server online ormai abbandonato.

Quello che sostengo è la necessità di applicare i metodi archeologici per cercare ciò che è andato perduto nel virtuale, prima che sia troppo tardi anche per quelle cose che varrebbe la pena preservare.

Non possiamo sapere quanto è già andato perduto, ma un’azione di raccolta è già iniziato. Un’esperienza significativa avviene già sui server online di Minecraft, videogioco caratterizzato da blocchi che possono essere sposati a proprio piacimento, dove gli utenti condividono avventure e architetture al limite della fantasia. Alcuni di questi hanno iniziato a condividere i diari e i cartelli che altri giocatori hanno scritto e che sono nascosti. Trovare questi scritti è davvero difficile. Innanzitutto perché la grandezza del mondo generato dal software è stata calcolata in quasi 4 miliardi di chilometri quadrati, 7 volte la terra; inoltre questi artefatti sono nascosti in labirinti archittetonici, caverne o sotto il mare. La varietà dei testi è ampia: fatti personali, memorie di gioco, poesie, barzellette e racconti stravaganti. I giocatori hanno scoperto molte storie, come ad esempio una tresca di amore tra due giocatori: 
“Lake902 e Stikman5 sono due fidanzati omosessuali in un periodo in cui l’omosessualità non è accettata. Il padre di Stikman5 non approva e stanno progettando di ucciderlo”.

 Oppure un aspirante suicida che lascia una lettera d’addio ai compagni con cui ha giocato: “voglio annunciare il mio suicidio, dite ad Emily che le voglio bene, non togliete il cartello finché non lo vede Landon“. Alcune si distinguono come creazioni artistiche vere proprie, un giocatore ha scritto un romanzo le cui vicende si imperniano su un impero che deve difendersi da figure enigmatiche chiamate con i nomi dei sette peccati capitali. Di questo libro solo due capitoli sono stati trovati.

Le opere in minecaft non si limitano a racconti e messaggi, ci sono soprattutto architetture costruite con i blocchi del gioco. Il caso più emblematico è il server online chiamato B2T2. Si tratta di è uno spazio digitale nato nel 2010, la sua storia è caratterizzata da forze opposte che distruggono e creano: l’edificazioni di città utopiche, la demolizione cieca, pace, guerre efferate, costruzioni di ponti, tradimenti, infatuazioni, patti fraterni e bande anarchiche. Questa ruota di caos e ordine è stata raccontata da molti giocatori. La zona di inizio del gioco è la più caratteristica, queste terre digitali sono state lo scenario delle prime guerre tra i clan. La terra fertile e le risorse per sopravvivere sono state spazzate via dalle esplosioni continue, a memoria di quel periodo rimangono solo le torri e i corridoi sotterranei che venivano usati per difendersi. Ma i conflitti sono cessati, a memoria delle battaglie sono rimaste le fortezze triangolari ormai abbandonate. A questi colossi si sovrappongono ponti sospesi e scale vertiginose costruite dai giocatori che entrano nel mondo virtuale per la prima volta, queste architetture facilitano la fuga per trovare le prime zone dove crescono alberi e nascono animali con cui cibarsi. Impresa non da poco. L’azione continua della volontà di migliaia di giocatori ha modellato questo scenario tra il sublime e il grottesco.

Ma i veri capolavori sono sorti e distrutti fuori da questa zona. Un caso documentato da un vecchio giocatore è la residenza di un suo compagno ormai non più presente nel server: la casa di Monkey sull’albero. L’architettura di questa base è di dimensioni vertiginose, liane da cui salire e scendere, scale di legno e un sistema complesso di giochi tra le fronde della chioma. O ancora: una base spaziale perfettamente automatizzata nella raccolta di provviste. Entrambe sono state distrutte e rimangono solo video che gli altri giocatori hanno fatto mentre le esploravano.

Nella modalità online di Minecraft creazione e distruzione si alternano a una velocità incontrollabile, in questi modi immensi ogni blocco può essere preso, spostato o fatto esplodere.

L’archeologia ci permette di ricostruire ciò che è andato perduto e ciò di cui non comprendiamo il significato. La coscienza della nostra società nel preservare ciò che viene costruito nei mondi virtuali è ancora rattrappita e poco lungimirante. Siamo come i medievali, questi salvarono quello che sembrava degno di essere mantenuto per il loro sistema di valori, a pagarne furono i templi pagani, le cui pietre furono usate per riedificare nuovi palazzi. Oggi eliminiamo o perdiamo elementi digitali significativi e non ce ne accorgiamo. Ho parlato di Minecraft perché è emblematico, ma avrei potuto parlare di altre perdite legate al mondo digitale che ho ben in mente, fonti di leggende urbane e complotti.

Bernardo di Chartres nel 1114 diceva che “noi siamo come nani sulle spalle dei giganti, così possiamo vedere più cose e più lontane”, ma non le conosciamo per nostro merito quanto per la storia che abbiamo preservato. Qualcosa di questi artefatti virtuali può aiutarci a vedere più lontano. Mi è ignoto il motivo del perché queste persone abbiano deciso di affidare il racconto delle loro vite o le loro opere intellettuali ad un mezzo così effimero, il messaggio in bottiglia che si spera arrivi a qualcuno. 

L’archeologia digitale oggi è un passatempo per utenti del web, domani potrebbe essere un corso universitario ed una professione. La sfida è sopratutto oggi, cosa possiamo fare come designer, informatici o umanisti per preservare questa ricchezza? Solo il genio personale può dare forma ad una prassi consolidata per salvare dall’oblio ciò che domani avrà valore.

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